Mi mancano da morire quei paesaggi e quegli anni, quando tutto annegava nel bianco accecante dei pomeriggi assolati.
Reynaldo Luza. Ibiza Spain. 1935.
L’Italia è una nazione stanca, tradita, abbandonata. Ogni giorno che passa il peso della sopravvivenza si fa più insopportabile per milioni di persone. Non si parla più di vivere, ma di resistere: alle bollette, agli affitti, alla disoccupazione, alla burocrazia cieca, all’indifferenza totale di chi dovrebbe proteggerci.
Il governo celebra se stesso tra bandiere e slogan, come se fosse in campagna elettorale perenne. Ma la realtà è un Paese in declino, dove chi lavora non riesce a vivere, e chi non lavora viene umiliato. Le promesse sono carta straccia, i provvedimenti servono solo ai soliti noti: banche, multinazionali, amici degli amici, palazzinari, venditori di fumo.
Ogni servizio pubblico viene spolpato: la scuola pubblica cade a pezzi, la sanità è diventata un privilegio per chi può pagare, la giustizia lenta e spesso manipolata. I fondi pubblici finiscono in consulenze, armi, sprechi, progetti inutili. Nessuna visione per il futuro, nessun investimento vero sul lavoro, sulla ricerca, sull’ambiente, sulla dignità.
Chi denuncia viene etichettato come “anti-italiano”, chi protesta viene insultato, chi chiede giustizia viene ignorato. Intanto i diritti si restringono, la libertà si svuota, e ogni giorno un nuovo decreto ci toglie un pezzo di cittadinanza.
Siamo diventati il Paese dove tutto è colpa dei poveri, degli stranieri, dei fragili. Un Paese che si rifugia nell’odio per non guardarsi allo specchio. Ma lo specchio non mente: quello che vediamo è un sistema marcio, governato da chi vive nell’impunità e nel privilegio, mentre milioni affondano nel silenzio.
Ci hanno tolto la speranza, e senza speranza nessuna democrazia può sopravvivere. Ma prima che sia troppo tardi, dobbiamo trovare la forza di rialzarci. Perché un popolo senza voce è un popolo destinato a essere comandato da chi non lo ama.
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